lunedì 3 febbraio 2014

Grillo: prima o poi ...

Prima o poi dovrà decidere a chi mirare nella caccia al voto per il Movimento 5 Stelle.
Io credo che il suo serbatoio elettorale più logico sia fra i delusi del PD e, in parte, fra i delusi da Berlusconi, quelli più sinceramente moderati.
Ma soprattutto i suoi voti Grillo li deve andare a conquistare da quei milioni di disgustati dai partiti nostrani in genere, persone che da anni non vanno a votare e che cominciano ad essere quasi la metà di tutta la popolazione.
Ora, se davvero Grillo vuole arrivare a quel 35/38 % che, con la possibile nuova legge elettorale, gli garantirebbe la maggioranza e quindi il governo del paese, tutto può fare fuorchè permettere che i beceri ultras da stadio la facciano da padrone nel suo blog.
Permettere a qualche imbecille di inneggiare al rogo dei libri fa soltanto il gioco di un avversario che già dispone di quasi tutti i media in circolazione su carta e in TV.
Scatenare la caccia al giornalista che critica il M5S è deleterio quanto picchiarsi sui maroni nello stile del Taffazzi di televisiva memoria.
Prendersela con Augias o Daverio è una cazzata clamorosa.
Se Grillo e i suoi andassero a rivedersi le tante puntate della tramissione che Augias ha condotto per anni su RAI3, si accorgerebbero di quanto si sia sforzato per far capire agli italiani quanto era sbagliato stare dalla parte di Berlusconi e di certi politici. E prendersela con Daverio significa sparare su uno dei pochi che possono fare da contraltare alla becera arroganza di Sgarbi.
Prendersela con Augias e Daverio significa incitare gli italiani a spargere merda su quei pochi che ancora cercano di fare un briciolo di cultura in un mondo televisivo dedito esclusivamente alla demolizione della cultura. Prendersela con Augias e Daverio significa glorificare l'insipienza di una Gelmini.
Se davvero Grillo vuole accrescere i voti per il suo movimento, la smetta di offrire la sponda agli imbecilli.
Davanti alla disonestà e alla partigianeria della Boldrini, non caschi nel facile insulto sessista. Batta il ferro della mancata imparzialità della signora e si guadagnerà il voto di molti italiani che vogliono un paese dignitoso. Un paese che discute e non aggredisce. Un paese di gente che vorrebbe tanto non essere guardata con compatimento ogni volta che varca i confini della propria terra.

martedì 26 novembre 2013

Femminicidio e altro

Una giornata contro il femminicidio.
Serve?
Non so.Forse sì o forse è solo una microscopica gocciolina destinata a sparire nella aridità del mondo che ovunque rimane maschile.
Le religioni, in particolare le tre grandi religioni monoteistiche, hanno sempre relegato la donna al ruolo di fattrice - nel migliore di casi - oppure di serva o di oggetto di divertimento e sfogo sessuale.
In fondo perchè meravigliarsi? La bibbia è stata scritta da uomini che si erano arrogati il ruolo di creatori di destini e, per poter autenticare quel ruolo, si erano inventati una divinità ispiratrice.
Poi arrivò Cristo - o qualcuno che assomigliava a quello descritto nei vangeli - e sembrò che proponesse una rivalutazione del ruolo femminile. Ma i suoi "interpreti" rimisero subito le cose a posto. E continuano ancora oggi se è vero che perfino il mediatico Francesco I continua a rifiutare l'equiparazione dei ruoli fra l'uomo e la donna nel sacerdozio. E gli integralisti ebraici - gli hasidim tanto per fare un esempio - non sono da meno.
In fondo, questi aspetti deteriori del cattolicesimo e dell'ebraismo sono ben poco cosa se si pensa ai 500 anni di arretratezza che caratterizza le tesi degli integralisti islamici.
Stando ai numeri, al mondo le donne sono almeno cinque per ogni uomo.
Onestamente spero che se ne rendano conto ovunque e decidano di organizzarsi, di armarsi e di mettersi a fare la guerra agli uomini, in particolare a quei bastardi che ancora pensano a loro come semplici oggetti.
Spero davvero che si mettano a fare la guerra - ma una guerra vera - ai padri che danno figlie dodicenni in matrimonio al vecchio influente.
Che si mettano a fare la guerra - violenta, cattiva, feroce - agli uomini che ritengono giusto lapidare l'adultera. A quelli che per legge vietano alle donne di guidare un'auto. A quelli che ritengono disonorevole che una donna appaia su un palcoscenico in teatro. A quelli che ritengono giusto che una donna venga pagata meno di un uomo per lo stesso identico lavoro.
Che si mettano a fare la guerra a tutti gli uomini che, in ogni parte del mondo, in ogni momento della loro vita, continuano a pensare alla donna come ad un essere naturalmente inferiore all'uomo.

venerdì 5 luglio 2013

Fa male ...

Fa male, molto male, in certi momenti, pensare di fare parte della categoria "uomini".
Perchè sarà pur vero che è una categoria nella quale rientrano i caratteri più diversi ma è pur sempre una categoria che annovera, fra i propri componenti, menti talmente malate da riuscire - per la propria incapacità di essere onesti con se stessi e rinunciare al mito del maschio padrone - a commettere le più impensabili atrocità.
Ieri un TG ci mostrava gli stupri di gruppo nelle manifestazioni in Egitto. Stupri che mirano a dissuadere le donne dal partecipare alle manifestazioni.
I femminicidi sono ormai un evento che viene considerato quasi normale.
E sempre si troverà il prete imbecille, virtualmente a braccetto con il maschilista becero, che proclamerà che "le donne se la vanno a cercare se si vestono in modo così provocante".
Ma perchè, mi chiedo sempre più spesso, non ci sono mai donne che cerchino di stuprare un uomo se questo va in giro seminudo? 
Le vittime sono sempre vittime. Non c'è distinzione fra una vittima analfabeta ed una laureata ma un po' più di dolore - appena un poco in più - lo si prova quando un rappresentante della categoria "uomini" calpesta con rabbia, fino a farlo morire, un bel fiore.
E questo, a quei rappresentanti della categoria "uomini" che ancora inseguono l'utopia di una uguaglianza vera, fa male, un male profondo.
Se avete qualche minuto, andate qui:
http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cronaca/2013/3-luglio-2013/violenza-volevi-parole-d-amore-2221970603613.shtml

mercoledì 12 giugno 2013

Credere. A cosa? E perchè?



Credere. A cosa? E perché?


Mi è stato chiesto di raccontare un poco di me stesso o, per lo meno, del mio concetto di religione.
Sono cresciuto in una famiglia cattolica e, fino alla maggiore età, sembrava impossibile non frequentare la chiesa. Non so quando ho cominciato ad allontanarmene. Forse è stato un lento procedere. Di certo non ricordo un momento preciso nel quale ho capito che non mi riconoscevo più in tanti aspetti del cattolicesimo. Ma nemmeno dell’islamismo o del giudaismo.
Non amo le religioni perché, tutte, mi chiedono di spegnere la mia parte razionale per credere in qualcosa inventato da uomini, trasmesso da altri uomini e interpretato da altri ancora.
Non credo che esista una entità che, in un imprecisato momento dell’eternità, ha deciso di creare un universo. E n quell’universo ha deciso di mettere la terra. E su quella terra di mettere un uomo e una donna da cui poi far discendere l’umanità intera.
Tanto per cominciare considero questa idea la dimostrazione della presunzione umana. L’arroganza di pensare che solo noi siamo gli eletti degni di essere stati creati e posti al centro dell’universo. E, per aggiunta, creati a immagine e somiglianza di Dio. Mi guardo  intorno, guardo la TV, leggo le cronache dal mondo intero e mi dico che i casi sono due: o Dio si è distratto durante la creazione e non gli siamo venuti proprio bene, oppure, se davvero siamo la sua immagine, allora preferisco pensare che Lui non esista.
La mia idea della religione? Uomini dotati di una notevole fantasia ma, soprattutto, uomini desiderosi di avere un poter immenso su masse di loro simili, hanno capito che il debole aveva bisogno di qualcosa di soprannaturale in cui credere per potere resistere alla tentazione di arrendersi e rinunciare a vivere. Hanno costruito questo bel castello di fantasie su un essere onnipotente e onnisciente e hanno convinto le masse a credere che, solo attraverso la fede in Lui, si sarebbero potute sollevare dalla loro triste condizione. 
Però DOPO questa vita.
Comodo.
Ci sono momenti in cui, onestamente, invidio chi possiede una fede profonda. Lo invidio perché, davanti alle avversità e alle cattiverie atroci del destino, ha un aiuto in più che lo sostiene.
Io non ci riesco. Io non riesco ad accettare le ingiustizie della vita come prova d’esame per un aldilà nel quale non credo. Non riesco ad accettare gli sgambetti della sorte in cambio di una beatificazione nel giorno del giudizio universale.
Della religione, di quella che mi è stata insegnata a catechismo da bambino, accetto solo un suggerimento: “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”. Il vangelo mi dice che lo ha detto Gesù. Bene, se potessi averlo davanti gli chiederei perché non ha limitato il suo insegnamento a quella frase ma modificandola solo un poco. Perché non ha limitato il suo insegnamento ad una frase che dicesse: “FAI agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”.
I dieci comandamenti, per la maggior parte sono solo divieti. Ho sempre pensato che vietare è facile come distruggere. Proporre e costruire è un po’ più difficile. 
Per fortuna esiste qualcuno che, all'interno della fede, ci riesce. Preti di strada, volontari che lasciano tutto per aiutare i diseredati, umini e donne che dedicano tutto il tempo che possono ad alleviare le sofferenze altrui. Peccato che, troppo spesso, i "sommi sacerdoti" non sentano la necessità di imitarli. 

   

venerdì 1 marzo 2013

Insofferenza

Invecchiando, probabilmente ci si incarognisce. La saggezza viene con l'età? Non so, non mi pare il mio caso. A me sembra di diventare sempre più insofferente. E negli ultimi tempi ci sono persone ed espressioni che proprio non riesco a sopportare. Fra le persone, al primo posto ci sono le donne che ammirano Berlusconi. Possibile che non abbiano un minimo di dignità, queste donne? Possibile che davvero si sentano compiaciute delle battute a sfondo sessista di questo vecchio in piena tempesta ormonale manco fosse un adolescente. Possibile che riconoscano dignità alle giovani che si prostituiscono per farlo sentire ancora un tombeur de femmes? Mi sembra assurdo ma evidentemente il mio concetto del rispetto che si deve alle donne è particolarmente diverso da quello di queste ammiratrici del vecchio satiro.
Fra le espressioni che proprio mi sono diventate insopportabili c'è : "Io non sono nè di destra nè di sinistra". Che significa? Dimmi, tu che ti senti equidistante, sei per la privatizzazione totale o per lo stato sociale? Sei per il giusto rapporto lavoro/compenso oppure pensi che sia giusto che un abile manovratore, frequentatore delle persone "giuste" guadagni anche mille volte in più rispetto a chi si spezza la schiena ogni giorno? Sei per una scuola statale efficiente o per il privilegio di una istruzione per pochi eletti? Sei per una vita dignitosa anche per coloro che hanno poco o niente oppure per il menefreghismo totale nei loro confronti? Non essere di destra nè di sinistra significa aver solo paura di pronunciarsi, di prendere posizione, di avere una propria idea di stato. In parole povere significa rinunciare a pensare con la propria testa.

giovedì 22 novembre 2012

Cari ragazzi

Domani (sabato 24 novembre 2012) scenderete ancora una volta in piazza per far sì che un sogno diventi, almeno in parte, realtà.
Il sogno di una scuola pubblica seria. Il sogno di una scuola che vi offra edifici solidi e programmi aggiornati. Una scuola che non vi lasci in preda agli interessi commerciali degli editori che ogni anno vi fregano cambiando copertina ai libri di testo solo per giustificare un aumento di prezzo.
Una scuola che obblighi gli insegnanti ad aggiornarsi ma non chieda loro di pagare di persona per l'aggiornamento.
Una scuola che vi insegni un mestiere ma anche vi educhi a saper giudicare con la vostra testa.
Una scuola che, diciamocelo, i governanti non vogliono e non hanno mai voluto perchè, come ben si sa, un popolo istruito e capace di giudicare, non è un popolo-gregge che accetta, senza discutere, a testa bassa, gli ordini del politico-pastore-padrone.
Mi dispiace non essere più - ormai da tempo - un insegnante.
Se fossi ancora in classe, avrei dedicato un po' di tempo del mio insegnamento a spingervi TUTTI a scendere in piazza. Sottolineo TUTTI perchè lo sappiamo da tempo che una certa parte degli studenti troveranno la scusa della manifestazione per andarsene in giro per i fatti loro oppure per farsi un giorno di riposo in casa.
A quelli che parteciperanno alla manifestzione, invece, se fossi ancora lì, in cattedra, chiederei di andarci con tutta la forza di cui possono disporre.
Direi di più. Vi inviterei a scendere in piazza armati di casco (non integrale) e bastoni e senza sciarpe sul volto. E usare quei bastoni per isolare e sbattere fuori dalla vostra manifestazione quei pochi imbecilli, malati di violenza, che ogni volta fanno di tutto per dare di voi una immagine pessima. Quanti saranno? Uno ogni cento di voi? Fossero anche uno ogni cinquanta, pensate a quale forza avete e usatela, quella forza. Non lasciate ai poliziotti violenti la scusa per potere sfogare le loro frustrazioni. Date una mano a quei poliziotti che hanno paura di vedere fra di voi i loro figli. Dategli una mano pestando senza alcuna compassione i profeti della violenza. Perchè ci sono occasioni in cui la libertà, la democrazia, gli ideali, vanno difesi con la forza e magari anche con un poco di sana violenza.

mercoledì 14 novembre 2012

Il valore di una parola

Caro professor Monti,
comincerei con una precisazione proprio perchè le parole hanno un loro valore ed un loro significato che a volte può confondere. Uso l'aggettivo "caro" non con il significato affettuoso che si usa con chi ci sta a cuore ma con il significato di "costoso" perchè questo è quello che lei è diventato da tempo per chi non può godere di un reddito da ricco o discretamente benestante. Le parole, caro professor Monti, come vede hanno un loro peso specifico. E proprio in virtù di questa incontrovertibile verità, vorrei pregarla di non usare più la parola "equità". E la pregherei di estendere l'invio a non usare tale parola anche si suoi ministri. Traggo da un articolo di "Repubblica" questa delucidazione : "Nel linguaggio politico il termine è utilizzato soprattutto per esprimere l'esigenza di rimuovere le distorsioni e le ingiustizie che si formano nella società, a causa di leggi inique (o malamente applicate) che contraddicono il valore fondamentale dell'uguaglianza dei diritti e dei doveri civili e, oggi, fiscali"
E quindi, visto che lei questa parola la usa sempre come indicatore privilegiato della sua azione di governo, devo convincermi che, secondo lei, è un sintomo di equità il fatto che lo stipendio di alcuni massimi dirigenti degli organi istituzionali siano - nel migliore dei casi - un migliaio di volte superiori alla pensione minima di un anziano e - nel peggiore dei casi - un migliaio di volte superiori allo stipendio medio di un lavoratore dipendente.
Secondo lei è un sintomo di equità obbligare a pagare l'IMU quei cittadini che hanno avuto le case invase dal fango delle recenti alluvioni, mentre proprio negli stessi giorni il suo governo studia mille modi per evitare al clero di pagare la stessa tassa sugli esercizi commerciali di cui è in possesso.
Secondo lei è un sintomo di equità che si spendano miliardi di euro per un'opera inutile e dannosa come la TAV Torino-Lione mentre il territorio italiano avrebbe bisogno di almeno una quarantina di miliardi per essere rimesso in sesto, per non parlare delle condizioni in cui si costringono i giovani a studiare.
Secondo lei è un sintomo di equità sottrarre fondi alla scuola pubblica per elargirli alla scuola privata con aiuti che, fra l'altro, vanno contro il dettato costituzionale.
Secondo lei è un sintomo di equità rinunciare a ridurre gli stipendi dei parlamentari ed i loro privilegi ma, allo stesso tempo, ridurre i fondi a disposizione di regioni e comuni per l'assistenza e la sanità.
Potrei andare avanti con l'elenco delle INIQUITA' che il suo governo continua a perpetrare ma penso che sia del tutto inutile. Lei sa benissimo di stare portando avanti un disegno che permetterà ai ricchi di mantenere le loro ricchezze, anzi di incrementarle, e al contempo porterà alla miseria e alla disperazione milioni di persone. Vorrei soltanto che, a questo disegno, lei non apponesse l'etichetta di "equità".
Con profonda disistima.
Eugenio Bianchi - Rimini